Simbologia del Croco

Artemide e le dee vergini

Britomarti, Dictinna, Afea

Britomarti, Britomartis (greco: Βριτόμαρτις) o ancora Britomarpis1 era un’antica divinità adorata principalmente nella Creta minoica. Dea delle montagne e della caccia, protettrice dei cacciatori, dei pescatori e dei marinai, fu talvolta identificata con l’egineta Afea (o Afaia). Secondo alcuni autori, era anche venerata come Dictinna (Δίκτυννα, Dictynna).

A Creta durante l’età ellenistica e romana (monumenti più antichi non ci sono pervenuti) Dictinna è rappresentata come una giovane donna armata per la caccia e di solito accompagnata dai suoi cerbiatti e dai suoi fidi cani, che pare fossero proverbiali nell’antichità per la loro indole selvaggia e aggressiva. [Guarducci]

La figura di Britomarti ci è nota solamente dalle sue rappresentazioni su monete di Chersoneso e di Olunte, località nelle quali esistevano templi antichi dedicati a questa dea. Come Dictinna, anche Britomarti appare nelle sembianze di una giovane donna munita di faretra, mentre in un esemplare essa regge, sul braccio proteso, un cerbiatto. Sia Britomarti sia Dictinna, dunque, si avvicinano molto, per i loro caratteri, alla classica figura di Artemis. [Guarducci]

Pausania (I sec. a.C.) racconta (Descrizione della Grecia, 2.30.3) che il nome ‘Diktynna’ deriva da δίκτυα (diktya, “reti”, del tipo usato per la caccia o per la pesca):

Ad Egina, andando verso il monte di Zeus2, Dio di tutti i Greci, si raggiunge un santuario di Afea, in onore del quale Pindaro compose un’ode per gli Egineti. I Cretesi dicono (la storia di Afea è cretese) che Carmanore, che purificò Apollo dopo aver ucciso Pitone, era il padre di Eubulo, e che la figlia di Zeus e di Carme, la figlia di Eubulo, era Britomarti. Si dilettava, dicono, nella corsa e nella caccia, ed era molto cara ad Artemide. In fuga da Minosse, che si era innamorato di lei, si gettò nelle reti che erano state gettate per pescare. Fu fatta dea da Artemide ed è adorata, non solo dai Cretesi, ma anche dagli Egineti, i quali dicono che Britomarti si mostri nella loro isola. Il suo cognome tra gli Egineti è Afea; a Creta è Dictynna (Dea delle reti).” [Pausania]

Antonino Liberale, antico grammatico greco vissuto in un periodo compreso tra il 100 a.C. e il 300 a.C., riporta una versione leggermente diversa (Metamorfosi, 40):

BRITOMARTIS: Cassiepia, figlia di Arabio, e Fenice, figlio di Agenore, ebbero una figlia Carme. Zeus fece l’amore con lei e generò Britomarti che evitava la compagnia degli uomini e desiderava essere vergine per sempre. Prima arrivò ad Argo dalla Fenicia, entrando in compagnia delle figlie di Erasino, Bize, Melite, Maira e Anchiroe. Poi andò da Argo a Cefallenia. I Cefalleni le diedero il nome di Lafria e le fecero sacrifici come a una divinità. Poi andò a Creta. Quando Minosse la vide, la bramò e la inseguì. Si rifugiò presso alcuni pescatori che la nascosero nelle loro reti. Per questo i Cretesi la chiamavano Dictinna, la Donna delle Reti, e le offrivano sacrifici. Dopo essere fuggita da Minosse, Britomarti arrivò ad Egina su una barca del pescatore Andromede. Ma lui la desiderava e le mise le mani addosso. Britomarti saltò giù dalla barca e fuggì in un boschetto, proprio nel punto in cui oggi c’è un suo santuario. Poi scomparve dalla vista [divenne ἀφανήσ (aphanès, invisibile)] e la chiamarono Afea [Ἀφαία (Aphaìa)]3, colei che è scomparsa. Il popolo di Egina consacrò il luogo nel santuario di Artemide, dove Britomarti scomparve, chiamandola Afea, e offrendo a lei sacrifici come a un dio.” [Antonino]

Fig. 1: Diana di Versailles, copia romana di una statua greca di Leocare che rappresenta Artemide/Diana. Versailles. [Versailles]

Callimaco (III secolo a.C.) nel suo Inno ad Artemide (Inno III. Ad Artemide, 188-205) descrisse Britomarti come una ninfa4:

188 E più degli altri tu ami la ninfa di Gortina5, Britomarti, cacciatrice dalla buona mira; per la quale Minosse un tempo, follemente innamorato, vagava per le vette di Creta. E la ninfa si nascondeva ora sotto le frondose querce e ora nei bassi prati. E per nove mesi egli vagò per dirupi e precipizi e non smise di inseguirla, finché, quasi raggiunta, lei saltò in mare dall’alto di un dirupo e cadde in salvo nelle reti dei pescatori. Da allora i Cidoni 198 chiamano Dittinna [Δίκτυνα, Dìktyna, Signora delle Reti] la ninfa e Ditteo [Δίκταῑον, Diktaion]6 il monte da cui balzò la ninfa, e lì eressero altari e fanno sacrifici. E la ghirlanda in quel giorno è di pino o lentisco, ma le mani non toccano il mirto. Perché quando era in fuga, un ramo di mirto si impigliò nelle vesti della fanciulla; per la qual cosa fu molto adirata contro il mirto. Upis7, o Regina, Portatrice di Luce dal bel viso, anche tu i Cretesi chiamano come quella ninfa.” [Callimaco]

Non tutti gli autori concordano su tale leggenda. Ad esempio, Diodoro Siculo (Bibliotheca historica, V.76.3-4) ha scritto:

3 Britomarti, che si chiama anche Dictinna, raccontano i miti, nacque a Ceno di Creta da Zeus e Carme, figlia di Eubulo che era figlio di Demetra; lei inventò le reti che si usano nella caccia, per cui è stata chiamata Dictinna, e trascorreva il suo tempo in compagnia di Artemide, questo è il motivo per cui alcuni uomini pensano che Dictinna e Artemide siano la stessa dea; e i Cretesi hanno istituito sacrifici e costruito templi in onore di questa dea. 4 Ma quelli che raccontano che è stata chiamata Dictinna perché fuggì nelle reti di alcuni pescatori quando era inseguita da Minosse, che voleva violentarla, hanno mancato la verità; perché non è una storia verosimile che la dea possa essersi mai trovata in uno stato così impotente da aver bisogno dell’aiuto che gli uomini possono dare, essendo, come è lei, la figlia del più grande degli dei, né è giusto attribuire un atto così empio a Minosse, che la tradizione dichiara all’unanimità che perseguisse giusti principi e si sforzasse di raggiungere un modo di vita che fosse approvato dagli uomini.” [Diodoro]

Sia i testi di Diodoro che quelli di Callimaco rivelano una stretta relazione tra Britomarti/Dictinna e Artemide, descritte come intime compagne, tanto che “più degli altri tu [Artemide] ami la ninfa di Gortina, Britomarti” (vedi sopra). Questa relazione nel mito è certamente basata sulla stretta somiglianza tra le due figure che avevano in comune diversi tratti ed è anche conseguenza della progressiva assimilazione storica delle antiche divinità minoiche nel nuovo pantheon greco (ellenistico). La somiglianza tra queste dee era così stretta che le loro figure finirono per sovrapporsi.

Infatti Solino (III secolo d.C.), secondo cui il nome ‘Britomarti’ deriva da un dialetto cretese e significa “dolce vergine”8, identifica esplicitamente Britomarti con la cretese Artemide (Diana). (Polyhistor, XI.8):

I Cretesi sono molto devoti nel loro culto di Diana. Nella loro lingua madre la chiamano Britomarti, che nella nostra lingua suona simile a “dolce fanciulla”. A nessuno è permesso entrare nel santuario di questa divinità se non a piedi nudi. Il santuario mostra l’opera di Dedalo.9 [Solino]

In realtà, secondo Margherita Guarducci “Diktynna e Britomartis furono e sempre rimasero, in Creta, due figure distinte. […] in Creta Britomartis ci appare completamente distinta da Diktynna, e […], mentre il culto di Britomartis sembra essere proprio della parte centrale dell’isola, quello di Diktynna sembra avere esistito solamente nella regione occidentale.” [Guarducci]

R.F. Willets suggerisce un’altra interpretazione della relazione tra Britomarti e Dictinna che “è generalmente riconosciuta, ma non è stata spiegata in modo soddisfacente. La stessa osservazione vale per l’associazione tra Dictinna e Artemide. Eppure ci sono indicazioni dell’evidenza che la relazione è quella antica e familiare di Madre e Fanciulla; e che Dictinna sta a Demetra come Britomarti sta a Persefone.

[…] L’inseguimento della vergine Britomarti da parte di Minosse è stato paragonato da Cook al ratto di Persefone: è stata «portata via per diventare regina di un re sotterraneo». […] Britomarti, tuttavia, non viveva con Minosse. Secondo Callimaco, dapprima si nascose da lui nei boschi di querce nei prati; poi la inseguì per nove mesi finché lei si gettò in mare e fu salvata dalle reti di alcuni pescatori.

[…] Britomarti è così mitologicamente rappresentata come una ragazza da marito che subisce una trasformazione e un cambio di nome a seguito dell’attenzione di Minosse. Non ci viene detto specificamente che abbia avuto rapporti con lui. Ma presumibilmente l’ha trovata nel suo nascondiglio, altrimenti non sarebbe fuggita. Potrebbe essere significativo il fatto che sia stata in fuga per nove mesi, tempo sufficiente per diventare madre.” [Willet]

La fusione delle figure di Britomarti, Dictinna, Afea e Artemide avvenne piuttosto tardi nel tempo e al di fuori di Creta. Margherita Guarducci scrive: “Vi fu, nella Creta pre-ellenica, una dea chiamata Diktynna e venerata nella parte occidentale dell’isola. […] Diktynna, poi, fu collegata e a poco a poco fusa con la dea Artemis: fusione che avvenne certamente fuori di Creta e con ogni probabilità ad Atene, ed alla quale l’isola di Creta rimase sempre estranea. C’era, poi, nella Creta pre-ellenica un’altra divinità femminile, Britomartis, venerata nella parte centrale dell’isola. Essa venne accostata a Diktynna e poi fu confusa con essa, non già nel culto ma nella tradizione letteraria, forse per la prima volta nell’inno ad Artemide di Callimaco. Anche Britomartis, come Diktynna, venne imparentata con Artemis; ma, anche in questo caso, l’associazione delle due figure rimase estranea a Creta.” [Guarducci].

 

Artemide

Esistono diverse teorie sull’origine della figura di Artemide.

Si suppone spesso che nella primitiva religione greca (di cui oggi si sa poco), le foreste e le terre selvagge fossero il dominio di una grande dea preistorica che oggi viene solitamente indicata con il nome di Signora degli Animali, o Πότνια Θηρῶν (Potnia theron)10. [Lloyd Jones, Nosch]

Nella tradizione classica, Artemide era associata alle montagne, ai boschi, alla caccia e alla danza, alle ninfe, ai bambini e agli animali giovani, nonché agli animali selvatici; in realtà, già nel I millennio lei era associata alla caccia, alla pesca e agli animali selvatici. Ciò ha indotto alcuni studiosi a supporre che la sua origine debba essere ricercata in un periodo in cui i suoi adoratori si occupavano principalmente di caccia e pesca, un periodo quindi precedente all’introduzione dell’agricoltura. Ciò ha indotto alcuni autori ad intendere Artemide come “erede” della Signora degli Animali. [Lloyd Jones, Nosch]

Alcuni studiosi, d’altra parte, sono convinti dell’esistenza di elementi minoici nel culto di Artemide e identificano un’Artemide minoica con una delle dee cretesi, scelta principalmente tra Ilizia (successivamente annessa nel Pantheon greco come dea del parto e dell’ostetricia), Britomarti, Dictinna e Afea (vedi anche [Nosch]).

In effetti, Artemide era fortemente presente a Creta nel I millennio a.C., ad esempio nei culti di diverse città cretesi. È plausibile supporre che, almeno dopo la conquista micenea dell’isola, Artemide debba essersi affermata come divinità anche a Creta. In effetti, Artemide appare come una figura ben definita e ben integrata nel pantheon miceneo dell’età del bronzo. [Nosch]

È interessante notare che nessuno degli elementi tradizionali del culto di Artemide – natura, animali selvatici, danza – è stato trovato nelle iscrizioni in lineare B. L’iconografia dell’età del bronzo, tuttavia, mostra chiaramente una Potnia theron proprio con questi elementi. [Nosch]

Infine, alcuni studiosi vedono Artemide come il risultato di un sincretismo religioso di varie divinità femminili minoiche e greche. Hugh Lloyd-Jones scrive:

Nella più antica religione greca, le dee erano poco differenziate l’una dall’altra: gli strutturalisti, con la loro tendenza a trascurare la dimensione storica, farebbero bene a ricordare che la distinzione precisa di una divinità da un’altra in termini di attributi e funzione può non essere attribuita in maniera certa al passato remoto. Non sorprende quindi che la Signora degli Animali abbia diverse eredi in luoghi diversi. Rimandano a lei alcune caratteristiche dell’Hera di Samo e dell’Argiva, dell’Athena Alea di Tegea, della Cibele e dell’Anahita dell’Asia Minore nonché di vari culti di Demetra e di Persefone; ma la sua abituale erede in epoca storica è, come tutti sappiamo, Artemide. Artemide incorporò varie dee locali che avevano ereditato alcune caratteristiche della Signora degli Animali, come Afea ad Egina, Dictinna e Britomarti a Creta, Ecate in diversi luoghi.

Artemide assunse caratteristiche apollinee dall’epoca relativamente tarda nella quale divenne sorella di Apollo; ma la vergine cacciatrice, casta e bella, già affermata nell’epica omerica, è ben diversa dalla Signora degli animali come appare nell’arte più antica, anche se non si risale indietro nel tempo fino alle sue manifestazioni cretesi .” [Lloyd Jones]

La questione è ancora in discussione…

Alla fine, Britomarti e Dictinna, come Artemide, furono attirate nel culto di Ecate e persino identificate con lei. Ad esempio, nelle Rane di Aristofane leggiamo:

O Artemide, divina fanciulla, Dictinna, bella cacciatrice, porta quel tuo branco dal naso acuto, e caccia con me per tutta la casa.

O Ecate, dalle spade fiammeggianti, o figlia di Zeus, arma le tue mani, quelle mani velocissime, sia destra che sinistra; proietta i tuoi raggi sulla casa di Glice così che io serenamente possa andar lì a cercare al chiaro di luna il furto.” [Aristofane]

 

Il mitologema della “dea vergine della natura selvaggia”

Sia che Britomarti, Dictinna, Afea e Artemide si siano effettivamente evolute dalla stessa dea primordiale sia che le loro figure si siano influenzate a vicenda e/o si siano fuse successivamente nel tempo, dal punto di vista archetipico si basano sullo stesso motivo (mitologema): giovani dee11 della natura selvaggia e delle belve feroci, dedite alla navigazione e alla caccia (spesso rappresentate come arciere), votate alla castità e talvolta venerate come kourotrophos (protettrici dei giovani e del parto).

Infatti, Margherita Guarducci scrive: “Comunque noi abbiamo ogni buona ragione per credere che tanto Diktynna quanto Britomartis fossero considerate dai Cretesi divinità fanciulle, così come ci induce a ritenere la leggenda stessa cantata da Callimaco e ripetuta più o meno fedelmente dagli altri, e come ci confermano i legami che non solo nella tradizione letteraria ma anche in quella epigrafica e figurata uniscono Britomartis e Diktynna (siano esse considerate come due figure o una sola) con la dea fanciulla per eccellenza, Artemis.” [Guarducci]

Pertanto, sembra molto probabile che questo mitologema derivi da un comune motivo progenitore che precede la nascita di queste figure divine e che era diffuso in tutta l’antica regione greca.

Osservando il mitologema in chiave diacronica, sembra che la Signora degli Animali, un tempo venerata come divinità femminile potente e temibile con cui confrontarsi in ogni momento della giornata in una società pre-agraria di cacciatori-raccoglitori, sia stata progressivamente relegata, dopo l’avvento dell’agricoltura, a una più gestibile dea della natura selvaggia e del “periodo” selvaggio della vita degli uomini e delle donne (più specificamente di queste ultime), cioè il tempo prima della maggiore età, nel quale i ragazzi e le ragazze appaiono come ancora non addomesticati. Successivamente, un ulteriore “ridimensionamento” della sua figura divina avvenne a seguito dell’associazione fraterna con il dio solare maschile (e decisamente più patriarcale), Apollo: in quel momento, il potere un tempo possente della dea veniva confinato nel secondario ruolo “lunare” di gestione di tutte le cose che non avvengono “alla luce del sole”.

È interessante il punto di vista di R. F. Willets. Egli scrive: “È chiaro, stando ad alcuni dei monumenti, alla nomenclatura delle divinità successive ed alla mitologia, che la dea [minoica] fosse una dea della luna così come (o piuttosto in virtù dell’essere) una dea della fertilità. Il culto della luna nelle sue varie fasi è strettamente associato alla misurazione del tempo, indispensabile a qualsiasi comunità agricola moderatamente avanzata. […] Ma il culto della luna deve anche aver contribuito al culto della dea dal punto di vista della fertilità umana e a motivo delle speciali associazioni della luna con le funzioni fisiologiche delle donne. […] Britomarti o Dictinna non furono identificate con la luna fino all’epoca romana […] ma poiché è generalmente accettato che Britomarti e Dictinna siano antiche dee cretesi, è improbabile che la loro associazione con la luna sia stata inventata esclusivamente dalla tarda mitografia, poiché, come abbiamo visto, il culto della luna ebbe un ruolo importante nello sviluppo della dea minoica.” [Willets]

 

Il croco minoico

I crochi sono stati a lungo riconosciuti quale motivo popolare nell’arte minoica. Durante i suoi scavi a Cnosso, Sir Arthur Evans identificò vari manufatti decorati con crochi che provenivano sia dal palazzo che dai suoi dintorni: tra questi, l’affresco delle Raccoglitrici di Zafferano (forse il più antico affresco figurativo sopravvissuto nell’Egeo) e le pitture murali della Casa degli Affreschi, abiti e fiori in maiolica dai depositi del tempio e ceramiche che vanno dalle tazze del Medio Minoico IB ai vasi del tardo Minoico IB. Evans identificò il fiore di croco persino su tavolette di argilla incise, chiusure e sigilli. Scoperte contemporanee in altri siti cretesi hanno prodotto ulteriore materiale. [Day]

In un periodo compreso tra il XVII e il XVI secolo a.C.12, l’isola greca di Thera (l’odierna Santorini), nell’arcipelago delle Cicladi del Mar Egeo, fu distrutta dall’eruzione del vulcano dell’isola che seppellì gli edifici con tutto il loro contenuto sotto uno strato spesso (fino a 6 metri) di pomice e cenere. In alcuni luoghi, questo rivestimento ha conservato intatto fino ad oggi tutto ciò che era stato sepolto, similmente a quanto avvenne a Pompei. [Ferrence]

Nel 1967 Spyridon Marinatos avviò gli scavi vicino alla moderna città di Akrotiri (in greco: Ακρωτήρι, “capo”) a Santorini e dopo la sua morte il progetto è continuato sotto la supervisione di Christos Doumas, successore di Marinatos. Questi scavi hanno permesso di scoprire i resti di un insediamento dell’età del bronzo che lo stesso Doumas chiamò la “Pompei dell’antico Egeo”. Gli abitanti probabilmente fuggirono prima di essere seppelliti dato che ad oggi non sono state ancora scoperte ossa umane. [Ferrence]

Dipinti murali estremamente ben conservati sono stati trovati in tutta la città. In un edificio noto come “Xeste 3” sono stati rinvenuti degli interessanti affreschi raffiguranti figure femminili, fiori di croco e una scimmia blu.

Il dipinto al piano superiore dell’edificio di Xeste 3 (Fig. 2; ottime tavole a colori che mostrano i dettagli degli affreschi si trovano in [Doumas]) si estende su due pareti adiacenti e raffigura una figura femminile centrale seduta su una pila di cuscini posta su una piattaforma tripartita multicolore sopraelevata e con indosso molti gioielli, tra cui collane di perline a forma di uccelli acquatici e libellule e un corpetto decorato con fiori di croco. Sulla sua guancia è dipinto un fiore di croco. Alla destra della donna è posizionato un grifone al guinzaglio, mentre a sinistra è raffigurata una scimmia blu che porge alla donna degli stimmi di croco presi da una cesta che si trova sul primo basamento. Una giovane ragazza versa fiori di croco dal suo cestino in un cesto più grande posizionato a terra a sinistra della scimmia. Un’altra fanciulla alla destra del grifone si dirige verso la donna portando sulla spalla una cesta. Su un muro adiacente, altre due giovani donne raccolgono fiori da ciuffi di croco in un paesaggio roccioso. [Ferrence]

Fig. 2: Dipinto al piano superiore dell’edificio di Xeste 3 [TheraFound]

Al piano inferiore di Xeste 3, tre figure femminili in un paesaggio roccioso con ciuffi di croco si affacciano verso una struttura architettonica sormontata da alcune Corna della Consacrazione13 decorate con stimmi di croco o, più probabilmente, striate di sangue. La donna centrale è seduta su uno sperone roccioso con la mano sinistra a sorreggere la testa e la mano destra posta sul piede sinistro sanguinante; due stimmi di croco cadono vicino al suo piede. [Ferrence]

Questi affreschi sono tra i dipinti meglio conservati e più dibattuti di tutta la storia dell’arte dell’Egeo dell’età del bronzo. Non è stata ancora trovata alcuna documentazione in cui sia descritto Xeste 3: le iscrizioni coeve in Lineare A rimangono indecifrate e nessun testo egeo successivo fa riferimento agli affreschi. Tuttavia, gli affreschi di Akrotiri e la cultura di Thera nel suo insieme hanno forti somiglianze con la civiltà minoica dell’isola di Creta, esemplificata soprattutto nel sito di Cnosso. [Ferrence]

Gli studiosi hanno interpretato questi affreschi come rappresentativi di possibili diverse attività: riti di fertilità, cerimonie di iniziazione e/o di matrimonio, riti di passaggio e attività produttive locali. Per le sue affinità iconografiche con altre divinità minoiche (vale a dire la grandezza maggiore rispetto alle altre figure umane, la posizione elevata e la natura degli animali che l’accompagnano, una scimmia blu e un grifone, entrambi creature mitologiche), la donna seduta al livello superiore è solitamente identificata come una dea. [Cichon, Ferrence]

Nessuno sa quale dea sia. La maggior parte degli archeologi, tra cui Marinatos, sembra concordare sul fatto che appaia qui come la Grande Dea o la Signora degli Animali dell’antica cultura del Mediterraneo e del Vicino Oriente, sebbene non tutti gli autori siano d’accordo con questa interpretazione. In effetti, è ritratta mentre indossa o si trova vicino ad animali acquatici, animali terrestri, così come insetti e fiori. Il grifone alla sua destra è al guinzaglio e la scimmia blu la sta servendo, il che significa che ha potere sui due animali mitologici14. [Cichon, Ferrence]

Un secolo di scavi (tuttora in corso) a Creta e Thera ha accresciuto il corpus di materiale decorato a crochi e questo fiore è oggi uno dei motivi minoici più noti, oltre ad essere una delle piante più rappresentate nella pittura minoica. Nel corso del tempo, i crochi sono diventati oggetti di studio sempre più popolari, nel tentativo da parte degli archeologi di comprendere i significati dell’arte dell’età del bronzo. Sono stati discussi i potenziali poteri medicinali, così come il ruolo dello zafferano nei rituali. [Day, Morgan]

È interessante notare che il croco appartiene decisamente all’iconografia minoica più che a quella micenea, a differenza dell’altro fiore popolare, il giglio (croco e giglio sono i motivi ceramici più popolari a Thera), che è stato trasferito nell’immaginario e nella religione della terraferma. [Morgan]

Il croco è anche uno dei fiori più spesso rappresentati negli affreschi minoici di carattere religioso: insieme agli uccelli e ai gigli, i crochi sono noti attributi della dea [Cichon]. La funzione religiosa di questo fiore è corroborata dalla sua comparsa su tavole d’offerta e altari, ad Akrotiri (a Thera) e in tutto il Mediterraneo. Questa tradizione religiosa continuò fino al VII secolo a.C., quando l’altare di Apollo Karneios presso la colonia ternana di Cirene fu decorato con un motivo a crochi [Dewan].

Dopo il 1450 a.C. circa si verificò una generale scomparsa del motivo del croco da tutti i reperti, ad eccezione delle tavolette in lineare B. [Day]

 

Quale croco?

I crochi nell’arte minoica sono solitamente raffigurati come fuoriuscenti da un ciuffo di foglie, con diversi fiori che formano un gruppo. Vengono rappresentati tre “petali” (in realtà tepali) e il colore del fiore varia: in alcuni casi è probabilmente determinato dal colore dello sfondo, ma i più comuni sono le sfumature del viola o del rosso; anche il bianco e il blu sono molto usati. Gli stigmi, le parti superiori degli stili, visibili tra i tepali, sono di colore rosso o giallo aranciato e variano da tre a due o quattro per fiore15. [Day]

I tepali (solitamente) viola e i lunghi stimmi che in alcuni casi vengono mostrati fuoriuscire dal fiore hanno portato a identificare questi fiori come C. cartwrightianus o C. sativus. Alcuni autori suggeriscono che potrebbero essere rappresentate altre specie.

Jo Day, ad esempio, nomina anche C. oreocreticus, simile a entrambe le specie sopra citate, suggerendo anche che i minoici probabilmente non distinguevano le piante a livello di specie nel modo in cui noi, aderenti a un moderno sistema di classificazione post-Linneiano, facciamo oggi. In altre parole, secondo l’autrice, le (lievi) differenze morfologiche tra C. cartwrightianus, C. sativus e C. oreocreticus potrebbero semplicemente non essere state rilevanti per la visione minoica della natura. [Day]

Fig. 3: Crocus cartwrightianus (fiori viola e fiori albini)

Questo è un punto di vista abbastanza interessante, ma la classificazione moderna può aiutarci ad essere più precisi di così. Brian Mathew scrive: “L’origine del clone di C. sativus che esiste oggi è sconosciuta ma è altamente probabile che sia lo stesso clone coltivato in Inghilterra nel XIV secolo. C’è anche la possibilità che fosse conosciuto già nel 1600 a.C. poiché a Cnosso a Creta esistono disegni su affreschi e ceramiche minoiche in cui è raffigurato un Crocus con semplici ramificazioni di stigmi rossi allungati. Nessun Crocus mostra questa caratteristica meglio di C. sativus sebbene in alcune forme di C. cartwrightianus le ramificazioni siano un po’ più lunghe dei segmenti del perianzio.

Ovviamente è impossibile dire se i minoici coltivassero esattamente lo stesso clone che esiste ancora oggi o una forma di C. cartwrightianus, una specie che si trova naturalmente a Creta. L’argomento è forse a favore di quest’ultimo poiché alcuni dei Crocus raffigurati sono a fiore bianco e questa specie ha una marcata tendenza a produrre individui albini.

Qualunque sia il caso, è evidente che i minoici possedevano una pianta con uno sviluppo eccezionale dello stigma, capace di una resa di zafferano molto migliore rispetto al C. cartwrightianus selvatico locale.” [Mathew]

Non possiamo scartare a priori l’ipotesi che la lunghezza degli stimmi rappresentati negli affreschi fosse più legata all’esigenza di sottolineare la particolare importanza della specifica parte del fiore che alla necessità di rappresentare il croco in maniera realistica. Quale che sia il caso, la presenza di fiori albini fa propendere maggiormente per C. cartwrightianus.

Per quanto riguarda il C. oreocreticus, è da notare che lo specifico taxon “oreocreticus” indica chiaramente che questa specie è tipica delle montagne, a differenza di C. cartwrightianus che è una pianta di pianura. In effetti, attualmente C. oreocreticus è presente nella Creta centrale e orientale e non sembra essere presente al di sotto di ca. 900 metri; inoltre è comune su certe montagne fino ad almeno 2000 metri. Anche in C. oreocreticus le ramificazioni rosse dello stilo sono piuttosto lunghe rispetto ai tepali. [Mathew2]

C. cartwrightianus, invece, è presente principalmente nelle Cicladi e nell’Attica sulla terraferma greca. Le uniche popolazioni di C. cartwrightianus di cui si conosce l’esistenza a Creta si trovano vicino a Khania, in particolare nella penisola di Akrotiri (che è una località diversa da Akrotiri a Santorini)16 dove è apparentemente ben noto e utilizzato come fonte selvatica di zafferano. Qui, come in altre parti del suo areale, si presenta a bassa quota, solitamente al di sotto dei 300 metri e spesso solo poco al di sopra del livello del mare. [Mathew2]

Ad ogni modo, se l’albinismo è una caratteristica molto comune in C. carthwrightianus, tanto che alcune popolazioni di tale Crocus consistono in forme bianche e viola in proporzioni quasi uguali, tale fenomeno è molto raro in C. oreocreticus. Inoltre, in C. oreocreticus le foglie all’antesi solitamente non si vedono o al più hanno solo un centimetro o due visibili, mentre quelle di C. cartwrightianus spesso superano i fiori in lunghezza [Mathew2]. Poiché queste ultime due caratteristiche di C. oreocreticus certamente contrastano con la rappresentazione di fiori di croco viola e bianchi che crescono da un ciuffo di foglie, è molto probabile che il croco rappresentato nell’arte minoica sia C. cartwrightianus.

 

Artemide e il croco

Brauronia

Brauronia (τὰ Βραυρώνια) era una festa che si teneva ogni cinque anni nella cittadina di Brauron, situata sulla costa orientale dell’Attica, a circa 39 km da Atene, in onore di Artemide Brauronia. Durante la festività si celebrava un rito di iniziazione femminile detto ἀρκτεία (arkteìa), in cui giovani ragazze nubili (probabilmente tra i cinque e i dieci anni di età) vestite con una veste color zafferano chiamata κροκωτός (krokotòs) dovevano imitare un orso (ἀρκτεύσαι, arkteysai). Le ragazze stesse erano chiamate ἄρκτοι (arktoi, orse). [Peck]

Tutte le donne prima di potersi sposare dovevano prendere parte a questa festa ed essere consacrate alla dea. [Guarisco, Peck]

Le fonti attualmente note non ci consentono di conoscere i dettagli della cerimonia. Anche l’età delle “orsette” non è nota con certezza. [Guarisco]

È plausibile che con questa cerimonia le giovani ragazze, ancora parzialmente “dalla parte della natura” e quindi simili ad animali che devono essere addomesticati, venissero a tutti gli effetti “purificate” dalla loro parte più istintuale prima di poter essere accolte come donne nel pieno senso del termine. Non è un caso che la cerimonia fosse celebrata nell’ambito del culto di Artemide, la dea fanciulla, vergine e selvatica per eccellenza (cfr. [Guarisco]).

È interessante notare che in tutta la letteratura greca il krokotos figura come veste di seduzione tipicamente femminile. All’interno della tradizione paremiografica greca esiste un proverbio che recita: “alla donnola non si addice il krokotos”, noto anche in alcune varianti (tra cui “la donnola si è spogliata del krokotos”) che sostanzialmente hanno lo stesso significato. Alcuni paremiografi collegano tale proverbio ad un racconto che narra di una donnola che, trasformata in donna da Afrodite, si mette a correre dietro un topo pur indossando un krokotos. [Guarisco, Guarisco2]

Con ogni probabilità il racconto in questione è (o afferisce a) una delle favole attribuite ad Esopo, La donnola e Afrodite. Tale favola narra di una donnola che innamoratasi di un bel giovane prega Afrodite di trasformarla in donna. La dea impietosita la accontenta e la trasforma in una ragazza della quale il giovane si innamora. Ad un certo punto, Afrodite, volendo sapere se la donnola con la trasformazione del corpo avesse cambiato anche indole, pone un topo in mezzo alla stanza nuziale nella quale i due giovani siedono. La donnola appena vede il topo salta giù dal letto e comincia ad inseguire il roditore per mangiarlo. La dea, sdegnata, la trasforma nuovamente in donnola, riportandola così alla sua forma originaria. [Guarisco, Guarisco2]

Nella favola e nei proverbi summenzionati il krokotos simboleggia la piena condizione di donna che la donnola non riesce a raggiungere. È possibile comparare il percorso della donnola-donna del racconto con quello delle parthènoiarktoi nelle Brauronie: se la donnola nel segno di Afrodite non riesce a compiere il passaggio da παρθένοσ (parthènos, “vergine”) a γυνή (gyné), donna sposata perché diventa donna ma senza riuscire a perdere l’indole animale, le parthenoi nel segno di Artemide diventano orse per liberarsi definitivamente della loro componente di selvatichezza. Afrodite può garantire l’appagamento del desiderio amoroso, ma perché la parthenos diventi gyné è indispensabile l’intervento di Artemide, il cui ruolo nella tutela dei confini, compresa la frontiera tra domestico e selvatico, è ampiamente riconosciuto. [Guarisco, Guarisco2]

A Brauron esisteva anche un’altra festa quinquennale chiamata Brauronia che veniva celebrata da uomini e donne dissolute in onore di Dioniso. [Peck]

 

La dea vergine e il croco

Vesti color croco sono associate al culto di Artemide a Brauron ma non sappiamo se nell’Età del Bronzo il croco fosse già associato ad Artemide o ad una delle dee vergini cretesi (Britomarti, Dictinna, Afea). Tuttavia sappiamo che questo fiore costituiva un motivo popolare nell’iconografia minoica e soprattutto nell’iconografia minoica religiosa. (cmp. [Nosch])

Esiste sicuramente un legame tra il croco e la Dea dei Crochi di Thera, ma non sappiamo con certezza se questa fosse la Grande Dea (Potnia theron) in particolare o un’altra dea della Natura che presiedesse, ad esempio, alle guarigioni, alle cerimonie, ai riti di passaggio o alle attività produttive.

L’uso del croco nell’iconografia religiosa minoica, l’esistenza di una dea specificamente associata (iconograficamente) al croco e l’impiego del krokotos come indumento simbolicamente colorato durante la festa di Brauronia suggeriscono comunque che possa esistere un fil rouge che unisce la Signora degli Animali (in qualunque sua “declinazione”, forse – ma non certamente – inclusa la Dea dei Crochi di Thera), le dee fanciulle di Creta e delle Cicladi, Artemide e il croco.

È interessante notare che anche altre dee in qualche modo legate ad Artermide (Eos ed Ecate, per esempio) erano rappresentate con vesti color zafferano (κροκόπεπλος, krokòpeplos) (vedi, ad esempio, [Benda-Weber]).

 

La simbologia del croco in epoca greca e romana

In realtà tutta la simbologia dello zafferano nel mondo greco e romano ha un certo grado di complessità. Secondo Isabella Benda-Weber: “In Grecia, nei tempi antichi e nel mito, l’uso dello zafferano come spezia e colorante era un privilegio riservato a dei, eroine e principesse. Lo zafferano viene citato per la prima volta da Omero quando Era lo gettò sul suo letto nuziale (Il. 14, 348). Eos, l’alba, è sempre velata di zafferano (Il. 8, 1; 19, 1; Ovidio, Ars. Amat. 3, 3 ha attribuito questo colore ad Aurora). Antigone fece scivolare la κροκόεσσα στολή (Eurip., Phoen. 1491) nella sua disperazione per la morte della madre e dei fratelli, lo stesso fece Ifigenia al momento del suo sacrificio (κρόκου βαφὰς δ’ ἐς πέδον χέουσα: Aesch., Agam. 239), Andromeda incatenata alle rocce ha indossato il κροκόεις (fig. 3), Elena portò con sé da Micene la sua palla ricamata in oro e il velo bordato di croco, doni della madre Leda. Enio (Hes., Theog. 273), le ninfe (Hes., Theog. 358), le muse (Alc. 85 A) ed Ecate (Inno orfico 1) indossavano un κροκόπεπλος. Venere riveste Medea della sua stessa veste intessuta di croco (val. Flacc., Argonaut. 8, 234: ipsa suas illi croceo subtegmine vestes induit).” [Benda Weber].

È interessante notare che nel testo sopra, la maggior parte dei personaggi femminili nominati sono in qualche modo legati ad Artemide, alla seduzione femminile o al matrimonio. Secondo Brittany DeMone e Lisa A. Hughes, “il giallo zafferano nell’antichità era percepito come un colore femminile, in parte a causa delle sue associazioni con giovani donne non sposate, seduzione, rituali femminili e, per estensione, con un cambiamento di identità”. [DeMone]

Comunque “nel mito non solo le donne erano associate allo zafferano: l’amante di Medea, Giasone, si tolse le vesti color zafferano (κρόκεον εἷμα: Pyth. 4, 232) mentre si preparava ad arare il campo in Colchide con i tori sputafuoco. Il neonato Eracle era avvolto nel giallo croco (κροκωτὸν σπάργανον: Pind., Nem. 1, 38) e Dioscoride (Mat. Med. 1, 25) chiamava lo zafferano «sangue di Eracle».” [Benda Weber]

Qualcosa di simile è accaduto a Roma: “le vesti color zafferano in epoca romana erano legate a dei, eroi e re, a persone consacrate, a prosperità e lusso e all’oriente. Erano riservati alle donne e se indossati dagli uomini potevano facilmente trasformarsi in un costume effeminato e transgender”. [Benda Weber]

Anche Dioniso era spesso associato sia alla vista che ai profumi dello zafferano. Infatti, nelle sue Metamorfosi, Ovidio racconta che Dioniso/Bacco è annunciato da un odore di zafferano e mirra17. Inoltre, il dio era spesso raffigurato mentre indossava il krokotòs, in questo caso un chitone color zafferano, indossato anche dai suoi seguaci. Nel fregio dionisiaco della Villa dei Misteri compaiono diverse figure femminili vestite con abiti color zafferano con un orlo blu/viola e un affresco della Villa Farnesina (oggi al Museo Nazionale Romano) raffigura in abiti simili Leucotea, la ninfa che allattava il bambino Dioniso [Benda-Weber, Demon].

 

Conclusioni

In sintesi, il croco sembra essere simbolicamente legato alla femminilità potente, indomita e intrinsecamente feconda incarnata dalle dee della natura selvaggia (dalla Signora degli Animali fino alle dee vergini e ad Artemide), “imbrigliata”, in un secondo momento, dall’associazione con una divinità solare maschile. Ovviamente anche la femminilità in generale, la seduzione femminile, la procreazione e il matrimonio (almeno dal punto di vista della donna) rientrano nel “segno” del croco.

Anche se in qualche modo offuscato dal ruolo secondario a cui è stato relegato, il vero potere artemideo è ancora in attesa da qualche parte, nascosto alla vista ma pronto ad emergere, come è chiaramente evidente nella figura di Ecate.

Quindi anche la Luna, intesa non tanto come astro ma piuttosto come simbolo di ciò che si oppone al Solare, la “torcia” che mostra ciò che è celato nel nascondimento e nell’oscurità, figura della seducente, potente e talvolta pericolosa femminilità selvaggia (femminilità che è spesso rappresentata con una delle fasi lunari), cade sotto il dominio di queste dee. E così è per la gravidanza, quel processo femminile “selvaggio” (in quanto incontrollato e, quindi, indomito) che non avviene “alla luce del Sole” e che si conclude con la nascita di un bambino, creatura “appartenente alla natura” finché non viene addomesticata durante il processo di crescita.

Non è strano, quindi, che anche Dioniso, il dio ctonio e sicuramente “selvaggio” annunciato “dalla vista dei rampicanti d’edera […], dallo scuotimento della terra e dall’ululare delle bestie” (cfr. DeMone]), in qualche modo solare ma anche associato ad Ade o inteso come uno Zeus sotterraneo e spesso rappresentato come effeminato, fosse associato al croco, proprio come i misteri dionisiaci che avevano lo scopo di svelare verità “ctonie”.

Proprio come Artemide, dea dei confini, il croco è un fiore liminale che si pone a metà strada tra ciò che è nascosto e ciò che è “alla luce del sole”. Seducente spezia e potente medicina, è un tonico importante sia per il fisico sia per l’animo, ma ha un lato oscuro, essendo tanto potente da risultare velenoso se usato male. Afrodisiaco e, secondo la tradizione ayurvedica, capace di sostenere la gravidanza se assunto in piccole dosi, è abortivo se usato in eccesso. Infine, è la spezia più costosa e ricercata del mondo, tradizionalmente appannaggio di regnanti e persone facoltose e dunque associata all’abbondanza e alla ricchezza di cui Pluto, confluito poi in Plutone/Ade, era, nella mitologia greca, il dio.

È dunque una pianta solare, come dimostra chiaramente il color oro rilasciato dagli stimmi, ma anche potentemente Scorpionica, legata al potere e alla “sostanza” del mondo sotterraneo.

 

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Image from Thera Foundation, National Archaeological Museum of Athens, Public domain, via Wikimedia Commons; retrieved at: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/6/6d/ Akrotiri_Xesti_3_Fresko_Frau_auf_Thron_01.jpg

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Note

1. Britomarpis è la forma cretese, Britomartis quella greca. [Guarducci, Willets].

2. Sia il Monte Ida nella parte centrale di Creta sia il Monte Ditte (greco antico: Δίκτη) nella Creta orientale sono ritenuti il luogo di nascita di Zeus.

3. Questa etimologia è ritenuta errata da alcuni autori, anche a causa dell’antico nome della dea, Apha [Guarducci].

4. A proposito di questo testo di Callimaco Strabone riportava: “[…] Il paese dei Prasiani confina con quello dei Lebeni, distando settanta stadi dal mare e centottanta da Gortina. Come ho detto, Praso apparteneva agli Eteo-Cretesi; e lì c’era il tempio di Zeus Ditteo; poiché Ditte è vicino ad essa, non ‘vicino al monte Ida’, come dice Arato, poiché Ditte è distante mille stadi da Ida, essendo situata a quella distanza da essa verso il sole nascente, e cento da Samonio. Praso era situato tra Samonio e Chersoneso, sessanta stadi sopra il mare; fu rasa al suolo dagli Ierapitnici. E non ha ragione nemmeno Callimaco, dicono, quando dice che Britomarti, nella sua fuga dalla violenza di Minosse, saltò da Ditte nelle ‘reti’ dei pescatori, e che per questo fu chiamata Dictynna dai Cidoniati, e la montagna Ditte; poiché Cidonia non è affatto nelle vicinanze di questi luoghi, ma si trova vicino ai limiti occidentali dell’isola. Tuttavia, c’è un monte chiamato Titiro a Cidonia, sul quale è un tempio, non il tempio ‘Ditteo’, ma il ‘Dittinneo’.” [Strabone]

5. Qui con “Gortina” si dovrebbe intendere l’intera isola cretese, piuttosto che la specifica città [Guarducci].

6. V. nota 2. Comunque, alcune tavolette in lineare A recano le iscrizioni di-ki-tu / -di-ki-te-(te) (da confrontare con il Lin. B di-ka-ta(-de)), che molto probabilmente corrisponde al Greco ∆ίκτη. Non è chiaro se queste iscrizioni si riferiscano al Monte Ditte di oggi o piuttosto a qualche altro luogo religioso montuoso (relativamente) vicino a Cnosso, dove venivano fatte offerte agli dèi durante l’età del bronzo [Owens]. Ciò potrebbe anche rendere “Diktynna” un epiteto per una divinità minoica montana, piuttosto che un nome correlato alle “reti” (δίκτυα).

7. Opis (greco antico: Ὦπις or Ὦπιν, che significa ‘vedente’) o Upis (Οὖπις) si riferisce a diverse figure [Wikipedia]. In questo contesto, il riferimento è ad Artemide, la Phaesporia (o Portatrice di Luce).

8. Da βριτύς (britys), dolce o benedicente, e μάρτις (màrtis), cioè μαρνά (marnà), una fanciulla, così che il nome significherebbe, la dolce o benedicente fanciulla. [Smith]

9. Orig.: “Cretes Dianam religiosissime uenerantur, Britomartem gentiliter nominantes, quod sermone nostro sonat uirginem dulcem. Aedem numinis praeterquam nudus uestigia nullus licito ingreditur. Ea aedes ostentat manus Daedali.

10. Si noti tuttavia che questo termine appare per la prima volta – e poi solo una volta – in Omero, molto tempo dopo la fine dell’età del bronzo; tuttavia, Potnia theron è diventato un comodo termine generico per indicarequalsiasi divinità femminile associata agli animali [Nosch].

11. In realtà, Britomarti, Dictinna e Afea meglio si adattano, nella mitologia greca, alle categorie di eroine (Pausania, Antonino Liberale e Diodoro Siculo descrissero Britomarti/Dictinna/Afea come la figlia di Zeus e di una mortale, Carme; vedi testo sopra) o ninfe (vedi Callimaco, testo sopra) e solo successivamente trasformate in (o diventate) divinità. Ad esempio, Pausania (vedi testo sopra) scrive esplicitamente che “fu fatta dea da Artemide”. ([Pausania], confronta anche [Polinskaya]).

12. La data dell’eruzione del vulcano di Thera nella tarda età del bronzo è un argomento ancora dibattuto tra archeologi e storici dell’arte. Alcuni calcoli collocano l’eruzione intorno al 1648 a.C., altri la collocano più tardi nel tempo.

13. Un simbolo, ubiquitario nella civiltà minoica, che si pensa rappresenti le corna del toro sacro.

14. In effetti, non è nemmeno chiaro con certezza se il popolo minoico adorasse una singola dea della natura o più dee. Willets scrive: “O la dea è sempre virtualmente la stessa dea sotto una varietà di aspetti […] oppure dobbiamo supporre che le varie manifestazioni della dea indichino un numero di divinità femminili distinte con nomi diversi […] Ciò apre all’obiezione che dividiamo una dea in diverse dee concentrando l’attenzione sulla varietà delle sue associazioni a scapito dell’unità essenziale che ella sembra chiaramente intesa a rappresentare. In effetti, questa forte impressione di unità non sarebbe stata sminuita in maniera importante neanche se la dea fosse stata chiamata con nomi diversi già molto presto. Dovremmo ritenere che, come in casi analoghi nella successiva religione greca, quando due divinità svolgono la stessa funzione, la funzione è più importante del nome. Sembra quindi desiderabile, allo stato attuale delle nostre conoscenze, accettare la dea come una figura contraddittoria, sia una che molteplice, e concentrare l’attenzione sull’aspetto funzionale.” [Willets].

15. I fiori dei Crocus (almeno nelle specie di Crocus di interesse, C. sativus, C. cartwrightianus e C. oreocreticus – vedi oltre) hanno un unico stilo lungo che termina in uno stimma solitamente trifido, ossia con tre ramificazioni, anche se questo numero non è sempre rispettato, poiché in natura si ritrovano anche fiori con un numero maggiore o minore di ramificazioni.

16. Quindi abbastanza distante da Cnosso e, ad esempio, da Palaikastro, da cui provengono materiali raffiguranti crochi. Infatti, sia Cnosso che Palaikastro sono più vicine alle aree dove oggi si trova C. oreocreticus.

17. “Il racconto era finito. Ma le figlie di Minia lavoravano / ancora con furia, spregiando Bacco e profanando la sua festa, / quando a un tratto timpani invisibili strepitarono / con suono sordo, echeggiarono flauti a becco curvo / e tintinnarono bronzi in un profumo di mirra e croco; / e accadde un fatto incredibile: i telai cominciano a germogliare, / le stoffe appese a mettere fronde in sembianza d’edera; / parte si trasformò in viti e quelli che erano poco fa fili / si mutarono in tralci; dagli orditi spuntarono pampini / e la porpora usò il suo pigmento per dipingere l’uva.” (Ovidio, “Metamorfosi”, Liber 4, 389-398; transl. [OvidLib])

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