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Pavone – by Lubomir Mihalik – Imported from 500px (archived version) by the Archive Team. (detail page), CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=71463782
Il Pavone (Pavo cristatus Linnaeus) è un uccello appartenente alla famiglia dei fagiani (Fasianidi). Originario delle foreste dell’India, era noto anche ai Greci e ai Romani e questi ultimi lo allevavano sia per la sua bellezza che per la prelibatezza di carni e uova.
Le malattie non sono disordini di tipo statico, immutabili nel tempo, ma hanno una loro evoluzione. Possiamo sempre descrivere la causa di insorgenza di una qualunque malattia in termini di una interazione dell’organismo (con la sua specifica costituzione, sia strutturale sia funzionale, con la sua resilienza e le sue predisponenti morbose) con uno o più eventi “patogeni” (noxae) esterni o interni all’organismo stesso (pensiamo ad esempio ad un “colpo di freddo” o ad un virus o ancora ad uno stress prolungato).
Omnes vero se Britanni vitro[1] inficiunt, quod caeruleum efficit
colorem, atque hoc horridiores sunt in pugna aspectu; capilloque sunt promisso
atque omni parte corporis rasa praeter caput et labrum superius.
Tutti i Britanni poi si tingono col guado1, che produce un colore ceruleo, e per questo in battaglia sono più terrificanti di aspetto; e sono di capigliatura allungata e con ogni parte del corpo rasata tranne la testa e il labbro superiore.
– “De Bello Gallico” V, 14, Gaio Giulio Cesare
Guado in fiore
Il guado o glasto (nome scientifico Isatis tinctoria L.) è una pianta tintoria biennale che appartiene alla famiglia delle Brassicaceae. Ormai quasi completamente dimenticata, essendo stata soppiantata da tempo dai coloranti sintetici, per molto tempo è stata una delle piante tintorie più importanti in Europa, in quanto l’unica fonte allora conosciuta di un colorante blu particolarmente brillante, stabile e, soprattutto, ricercato: il guado, appunto (o pastel, in francese), chiamato talvolta oggi impropriamente indaco.
I primi resti
archeologici di semi di guado risalgono al Neolitico (ossia a più di 12.000
anni fa) e sono stati ritrovati nella grotta francese de l’Audoste, nel dipartimento
di Bouches-du-Rhône, nella Francia meridionale.
Il guado era conosciuto
ed usato come pianta tintoria anche dagli antichi Egizi e dai Celti. I Pitti,
tribù celtica del nord della Gran Bretagna, e gli Iceni dell’Inghilterra
orientale (East Anglia) si dipingevano con il guado prima delle battaglie.
Insieme alla robbia
(o garanza, Rubia tinctorum L.) che forniva il rosso e alla guaderella
(o erba guada, Reseda luteola L.) che forniva il giallo, è stato uno dei
coloranti più importanti dell’Europa medievale. Durante il Medioevo, esistevano
diversi centri di coltivazione in Inghilterra, Germania, Italia e Francia
[Wikipedia].
In Francia, particolarmente
produttivo è stato il triangolo tra Tolosa, Albi e Carcassonne, in Linguadoca:
la produzione del “bleu pastel”, così ricercato nella pittura e nell’industria
tessile, rese questa zona, passata alla storia come il “paese di Cuccagna” (da cocagne,
il nome francese dato al panetto di guado così come veniva commercializzato), una
delle più ricche d’Europa ai tempi [Balfour-Paul, Wikipedia].
Usato per
colorare i tessuti dei primi blue jeans, è stato progressivamente
sostituito dall’indaco (o “vero indaco”, Indigofera tinctoria L.) prima
e dall’indaco sintetico poi.
La molecola
responsabile del colore dell’indaco non si trova già formata nella pianta.
Piuttosto la pianta contiene alcuni precursori (due glucosidi dell’indossile: l’indacano,
principalmente presente nell’Indigofera tinctoria, e l’isatano B,
principalmente presente nel guado) che attraverso un processo di fermentazione
prima e di ossidazione poi producono la molecola colorata (oggi chiamata indaco
o talvolta, impropriamente, indigotina).
Secondo la
tradizione, durante l’estate (tipicamente nei mesi di luglio e agosto) le
foglie venivano raccolte recidendole alla base e, dopo averne eliminato il
gambo, venivano tagliate e macinate (anticamente esistevano delle apposite
macine da guado). La poltiglia ottenuta veniva modellata in palle di circa 10
cm di diametro e messe su graticci ad asciugare per circa 4 settimane.
Le palle così essiccate
potevano essere conservate indefinitamente, ma prima di essere usate,
solitamente venivano nuovamente trattate in modo da aumentare la concentrazione
di pigmento. A tal fine, le palle venivano sbriciolate e disposte a formare dei
cumuli che venivano poi bagnati con acqua e fatti fermentare. Il processo di
fermentazione produceva un evidente aumento della temperatura e l’emissione di
un odore terribile, simile a quello delle uova marce o del cavolo andato a
male, a causa della formazione di particolari molecole volatili, tra cui il
solfuro di metile [TDLiz]. Alla fine della fermentazione, che durava circa un
paio di settimane, la massa si raffreddava spontaneamente. La pasta di guado
risultante, dall’aspetto di una specie di pece scura, veniva essiccata e
ridotta in polvere (couched woad) per la conservazione. Tale polvere
conteneva circa 20 volte la quantità di indaco contenuta nelle foglie fresche (sotto
forma di precursore).
Siccome l’indaco
è insolubile, non riesce così com’è ad impregnare i tessuti e, pertanto, per
poter essere usato come tintura, doveva in qualche modo essere solubilizzato. A
tal fine, la polvere ricca di pigmento veniva posta in grandi vasche (i tini,
appunto) e ricoperta di acqua calda, in presenza di una sostanza alcalina, come
cenere di legna o urina, dopodiché veniva fatta rifermentare per altri 2 o 3
giorni, mantenendo la temperatura costantemente intorno ai 50°C. Tale rifermentazione
in ambiente alcalino consentiva di trasformare l’indaco nella sua forma
ridotta, detta leucoindaco o forma leuco dell’indaco, che,
essendo solubile, riusciva ad impregnare le stoffe. Tali stoffe, lasciate ad asciugare
all’aria, dopo un po’ di tempo si coloravano spontaneamente in blu a causa dell’ossidazione
del leucoindaco a indaco da parte dell’ossigeno dell’aria ([Hartl, Padden,
TDLiz]). È caratteristico il viraggio di colore dei tessuti che, da verdi quali
sono dopo essere stati estratti dai tini, diventano blu un po’ alla volta a
seguito dell’esposizione all’aria.
Oggi, per
solubilizzare l’indaco nei tini non lo si fa rifermentare ma lo si tratta a
caldo con una soluzione contenente soda caustica e una sostanza chimica
riducente, solitamente ditionito di sodio.
A causa della
particolare tecnica usata, l’indaco è classificato tra i coloranti “al tino”. I
tessuti tinti in questo modo tendono ad essere decisamente brillanti e a non scolorire
come accade, invece, con altri coloranti.
Il guado in medicina
Nella medicina
cinese (MTC) la sua radice (Ban lan gen) e le sue foglie (Da qing ye)
sono considerate le erbe antivirali in assoluto più efficaci [Chineseherbinfo].
Secondo la
MTC, il guado è indicato in tutte le malattie febbrili anche di natura
epidemica, per i gonfiori “caldi” (es., mal di gola con gonfiore), nell’itterizia
e come rimedio (efficace) contro le infezioni virali: morbillo, parotite,
encefalite B, epatite A, B e C, … La radice viene usata in tisana estemporanea
per il trattamento del mal di gola e dell’epatite e per via topica nelle
lesioni da herpes labiale [Chineseherbinfo, AmDragon].
Le foglie sono
solitamente usate più in caso di eruzioni da Calore tossico (es., morbillo), mentre
la radice è più usata in caso di disordini febbrili che colpiscono la testa e in
caso di ostruzioni alla gola (es., parotite).
Anche i medici
nostrani conoscevano le proprietà del guado. Dice, infatti, il Mattioli, medico
italiano del XVI secolo:
“Le frondi impiastrate risoluono tutte le posteme[2],
saldano le ferite fresche, ristagnano i flussi del sangue, guariscono il fuoco sacro,
l’vlcere che mangiano, le putride, & quelle che van serpendo per il corpo.
[Il glasto saluatico] beuuto, & impiastrato gioua a difetti della milza.”
[Mattioli]
È degno di
nota il fatto che anche il Mattioli riconosce l’efficacia del guado (da lui chiamata
isatide o glasto) come antivirale, indicandola specificamente in caso di
fuoco sacro (o Herpes zoster).
Più
descrittivo è Culpeper, medico e astrologo inglese del XVII secolo:
“Governo e virtù. È una pianta saturnina fredda e secca. […] L’erba
è così secca e costrettiva da non essere adatta per uso interno. Un unguento
preparato con essa ferma i sanguinamenti. Un impiastro fatto con essa e
applicato sulla regione della milza localizzata sul lato sinistro elimina le
durezze e i dolori di essa [milza]. L’unguento è eccellente per le
ulcere che abbondano di umidità e [ne] rimuove gli umori corrosivi ed
irritanti. Raffredda le infiammazioni. Spegne il Fuoco di Sant’Antonio e stagna
i flussi di sangue in qualunque parte del corpo. […] Le sommità della pianta
possiedono [efficacia terapeutica] nella massima perfezione e una infusione di
queste è il miglior modo di somministrarle. Ciò opera attraverso l’urina ed è
eccellente contro le ostruzioni del fegato e della milza, ma il suo uso deve
essere continuato per parecchio tempo.” [Culpeper]
È da notare
che Culpeper ne sconsiglia l’uso interno a causa della eccessiva capacità
disseccante, salvo poi consigliarne il decotto delle sommità come “il miglior
modo di somministrarle”. In MTC la pianta è stata adoperata per uso interno per
secoli.
Il “governo”
saturnino della pianta è in riferimento alle attività di questa: essendo secca
e fredda (come Saturno), riesce a risolvere le patologie “contrarie”, ossia
calde e/o umide: febbri, perdite fluide di ogni tipo (sanguinamenti compresi),
ulcerazioni soprattutto se infiammate e secernenti, ascessi e raccolte
purulente, ecc.
[Culpeper] Nicholas Culpeper, “Complete
herbal” (1653)
[Giulio
Cesare] Gaio Giulio Cesare, “De Bello Gallico”, V, 14
[Hartl] Hartl et al., Searching for
blue: Experiments with woad fermentation vats and an explanation of the colours
through dye analysis, Journal of Archaeological Science: Reports 2 (2015) 9–39
[Mattioli] Pietro Andrea Mattioli, “Discorsi di M.
Pietro Andrea Mattioli sanese, medico cesareo, ne’ sei libri di Pedacio Dioscoride
Anazarbeo della materia Medicinale” (1746)
[Padden] Padden et al., An
indigo-reducing moderate thermophile from a woad vat, Clostridium isatidis sp.
nov, lnternational Journal of Systematic Bacteriology (1 999), 49, 1025-1031
I prodotti per l’eliminazione del trucco che si trovano in commercio hanno il grosso vantaggio di essere già pronti all’uso: basta acquistarli e… usarli! Purtroppo, però, tali prodotti solitamente sono realizzati (almeno in buona parte) con sostanze chimiche sintetiche che, se da una parte garantiscono dei vantaggi (come basso costo di produzione, perfetto controllo delle caratteristiche quali texture, playing time, presenza o assenza di “scia bianca”, colore, tenuta, ecc.), dall’altra parte non sono completamente salutari per la nostra pelle.
The commercial cleansers have the huge advantage of being ready to use: you only need to buy and use them! Unfortunately, though, such products are usually made (at least largely) with synthetic chemical substances, which ensure some advantages (like a low production cost, a perfect control upon features like texture, playing time, white film formation or prevention, color, persistence, etc.) on one side, but that, on the other side, are not completely healthy for our skins.
Oggi ho provato a preparare per la prima volta l’oleolito di zafferano. Proveniente dalla tradizione per lo più indiana, quest’olio prezioso (sia perché preparato con la spezia più costosa sia per le sue qualità) si può usare tanto in cucina quanto per la cura della persona.
Today I’ve tried to make saffron infused oil for the very first time. Coming mostly from the Indian tradition, this precious (both because it is made with the most expensive spice and because of its qualities) oil may be used both in the kitchen and for our personal care.
St. John’s day, this year a flower day (the Moon is in Aquarius): perfect for the harvesting of the flowering tops of the plants that are in bloom now. In particular, the majestic and strongly-scented Clary Sage and the King of these days, St. John’s wort.
A St. John’s wort field
Clary Sage was reputed able to strengthen both the physical and the “inner” vision, so that in Italian it was called “occhio chiaro” (“clear eye”). The mucilage contained in its seeds was employed to remove foreign particles from the eyes. Its strong and intoxicating odor makes it an euphorizing herb. St. John’s wort was known in the past for being able to drive out demons. Nowaday, we know that it is endowed with a good antidepressant action, and also a regenerating and anti-inflammatory action on the nervous tissues (it can be used in case of neuralgia and neuritis).
Salvia sclarea ready for tincturing
Preparing St. John’s wort for infusion in olive oil
St. John’s wort infused oil ready to be exposed to the sun
San Giovanni, quest’anno giorno di fiori (la Luna è in acquario): perfetta per la raccolta delle sommità fiorite delle piante tipiche di questo periodo. In particolare, la maestosa e profumatissima salvia sclarea o salvia moscatella e il re di questa giornata, l’iperico (o erba di San Giovanni).
Campo di iperico
La salvia sclarea è tradizionalmente ritenuta pianta in grado di rafforzare la vista, sia quella fisica sia quella “interiore”, tanto da essere chiamata anche “occhio chiaro” (la mucillagine dei suoi semi era usata per rimuovere corpuscoli estranei dall’occhio). Il suo profumo intenso ed inebriante le è valsa di fama di pianta euforizzante. L’iperico era nota in passato per la sua capacità di scacciare i demoni, tanto da essere conosciuta anche come “scacciadiavoli”. Oggi sappiamo che è una pianta dotata di buone capacità antidepressive ma anche rigeneranti e disinfiammanti del tessuto nervoso (può essere usata in caso di nevralgie e nevriti).
Salvia sclarea pronta per la preparazione della tintura
Preparazione dell’oleolito o “olio” di iperico
Oleolito di iperico pronto per essere esposto al sole.